di Francesco Bernacchia e Romina Mazzei
La sanità mentale è un’imperfezione.
Charles Bukowski
Salute Mentale, cosa ci dice questo termine che da tempo riunisce introno a sé comunità scientifiche, professionisti e istituzioni? Attori differenti, portatori di una propria verità e di una responsabilità per tutti i fenomeni che in questo campo continuano a manifestarsi e fanno dell’argomento la cornice di ciò che è stato, che continua ad essere e che sarà per il futuro! L’OMS ha dato nel tempo una definizione del Concetto di Salute come “un completo stato di benessere biologico, psicologico e sociale”, ma la relazione tra questi tre sistemi inizia a divenire estremamente delicata nel momento in cui l’equilibrio che li lega inizia a vacillare. È in questa mancanza di equilibrio che la persona può incontrare nella società tanto forme di supporto quanto atteggiamenti di pregiudizio. La necessità di un ripensamento alle pratiche di accoglienza della persona con disagio mentale risulta quindi ancora presente, anche a differenza di moltissimi anni dalla Legge Basaglia.

Come può cambiare oggi l’approccio alla cura della Salute Mentale, creando pratiche comuni nei contesti in cui si promuove la Salute e la crescita dell’essere umano? A scuola si parla di Salute Mentale? Forse si, ma troppo spesso, nelle scuole come in qualsiasi altro contesto, la maggior parte degli interventi sono incentrati sul contrasto a fenomeni diffusi quali il bullismo o le dipendenze. Molto poco si parla della “follia”! Sembra quasi che questo termine sia marginale rispetto a problemi concreti con i quali ci si scontra di più. Eppure questo termine ci accompagna costantemente nelle dialettiche di ogni giorno e di fronte a tutto ciò che risulta di difficile accettazione. Si pensi a tutte le volte che si sente pronunciare la frase “Ma sei pazzo?”, “Tu sei pazzo!”, “..da uscirne pazzi!”, “cose da pazzi!”, “così impazzisco!”. Forse non ci rendiamo conto, ma nel manifestare un dissenso rispetto a ciò che ci viene detto o fatto, il concetto di “follia” è molto più presente nelle nostre dialettiche di quanto non lo sia nel nostro pensiero. La Scuola stessa ci insegna che si è folli per mille motivi diversi: per amore (come nell’Orlando furioso), per la voglia di scoprire (come in Galileo Galilei), per un’insicurezza personale (in Uno, nessuno e centomila).
Anche a Scuola, quindi, pensare, ridefinire e accogliere il concetto di “follia” è di per sé un indicatore dello stato di Salute del contesto e del suo livello di apertura nei confronti di colui che manifesta una difficoltà. La promozione delle dimensioni positive della Salute, come l’autostima, l’empatia o la consapevolezza emotiva, risulta fondamentale per incentivare nei ragazzi una sana conoscenza di ciò che si muove intorno a questo fenomeno. I ragazzi difficilmente oggi conoscono quali siano i contesti in cui il disagio mentale viene accolto e curato e ciò incrementa la paura nei confronti dell’ignoto, la paura di chiedere aiuto, il timore di ammalarsi e la convinzione che questo tema non riguarderà mai se stessi o la propria famiglia. Anche le emozioni che evoca questo tema difficilmente vengono indagate, ascoltate o sollecitate.
Da diversi anni, ormai, si sta facendo molto per l’implementazione delle Life Skills come fattore protettivo dalla malattia mentale e potenziante la Salute psicologica dell’individuo, ma il fenomeno va visto anche a livello sociale, vale a dire secondo i presupposti di accoglienza e superamento del giudizio nei confronti di persone che si trovano a sperimentare il disagio mentale. Se questi due aspetti del fenomeno vengono tenuti tra loro separati, il rischio è quello di trasmettere un messaggio a metà, secondo cui la salute individuale può bastare a cambiare le regole di una società in termini di accoglienza e inclusione.
La Scuola, può quindi rappresentare il contesto più adatto non solo nel creare i presupposti della Salute, ma anche nel promuovere un processo di integrazione che consenta al singolo di percepirsi parte di un contesto più ampio e chiamato in causa nel processo di accoglienza. Avviare questo lavoro nell’esperienza tra pari è qualcosa su cui ancora non si investe e forse la motivazione va rintracciata all’interno di una scarsa conoscenza rispetto a quanto alcuni traumi che si verificano nella relazione con l’altro, in età scolastica, possono portare, con il tempo, all’insorgenza di disturbi psichiatrici. Il pregiudizio nei confronti dei ragazzi che a volte caratterizza la visione degli adulti svilisce le capacità emotive e la plasticità che contraddistingue invece la stessa adolescenza. L’adulto di domani, quindi rischia di essere estremamente “difeso” da un confronto o da una riflessione sul tema della Salute Mentale portandolo implicitamente ad un mancato riconoscimento delle proprie fragilità e delle relative necessità di aiuto. Una riflessione sorge quindi spontanea! Sarebbe oggi possibile, nel mondo della Scuola, uno stravolgimento di paradigma che, più che interessarsi alla visione di una gioventù che rischia di divenire “bruciata”, si interessi e muova i suoi interventi a partire da ciò che “brucia” dentro ogni ragazzo?