di Francesco Bernacchia e Romina Mazzei
10 ottobre! Per ogni persona può sembrare una giornata come tante, ma per Rete Igea e per il mondo della Psichiatria è la giornata dedicata al tema della Salute Mentale. Una giornata in cui si dedica una riflessione a quest’area della Salute, troppo breve per affrontare e riflettere sulle tante criticità che ancora oggi ruotano intorno a questo tema. Si tratta di criticità ideologiche, etiche, professionali e di intervento terapeutico che hanno in comune l’interesse per la Salute e la tutela della persona con disagio mentale.
Nell’ultimo anno sono stati molti i temi trattati circa il potenziamento dei servizi e delle cure nel campo psichiatrico e continuano ad essere molte le istituzioni che tengono vivo ed aperto il dialogo per il superamento da un lato dello stigma, con l’obiettivo di abbattere quelle resistenze che arrestano il progresso delle cure e dell’inclusione sociale, e dall’altro lato per il superamento di una dimensione eccessivamente ideologica, con l’obiettivo di arginare una lettura distorta della realtà capace di ostacolare il ripensamento – in chiave etica – delle forme e delle pratiche di intervento .
Ciò è stato per Rete Igea argomento di confronto – all’incontro di maggio 2023 – con il Tavolo Tecnico per la Salute Mentale[1] del Ministero della Salute, con l’obiettivo di conciliare e proporre un dialogo tra il ripensamento del modus operandi delle strutture sanitarie psichiatriche in termini di organizzazione, attività riabilitative, forme di intervento e le necessità di rassicurazione da parte di una società che, ancora oggi, pone barriere allo sperato processo di inclusione.
Dove cercare le fondamenta di queste barriere che vengono costantemente alzate in difesa a fronte di qualcosa di indefinito come la “follia”? È più di un anno, soprattutto dopo la morte della dottoressa Barbara Capovani[2]che il mondo delle istituzioni risponde – o almeno cerca di farlo. al pregiudizio del senso comune nei confronti delle persone con disagio mentale. Dai quei “due minuti di silenzio” richiesti un anno fa come forma di cordoglio per la collega scomparsa, sono state tante le iniziative volte alla riflessione su un tema così caldo. Più di tutti, questo evento ha determinato la necessità di contrastare la spontanea correlazione – e inasprimento da parte della società dal punto di vista del pregiudizio – tra pericolosità e persona con disagio mentale
Quali forme, quali volti attribuire a questa pericolosità? La possiamo oggi definire come una caratteristica o un tratto distintivo della persona con disagio? Tiriamo in ballo il mondo delle Istituzioni e degli organi di cura che non sanno svolgere il loro lavoro? Scarichiamo la colpa sulla società? Ricerchiamo la responsabilità nelle famiglie?
Domande lecite! Come di fronte a tutti i problemi, però, queste domande dimostrano la tendenza a ricercare soltanto la causa, credendo – o illudendoci – di riuscire a individuare un rapporto lineare causa-effetto a scapito di una visione circolare e multifattoriale del problema. Definire oggi, nel 2023, la pericolosità come un tratto distintivo della schizofrenia o di un qualsiasi altro quadro clinico, vorrebbe dire confermare scientificamente quanto sostenuto dal senso comune rafforzando stigma e pregiudizio. Seppure in molte ricerche risulta innegabile questa correlazione, si corre il rischio di non prendere in considerazione tutti gli altri fattori predisponenti che non sono certo esclusivamente rintracciabili nella psiche della persona che manifesta tale difficoltà. Ricondurre la pericolosità esclusivamente a fattori interni di una psiche “malata” attenua sicuramente, tanto per l’individuo quanto il mondo delle cure, il senso di responsabilità. Se questa visione può essere forse più plausibile da parte dei “non addetti ai lavori”, non può esserlo per il sistema di cura.
Non è difficile rintracciare situazioni in cui il familiare si sente abbandonato; la ricerca di supporto e di aiuto viene meno dietro una serie di procedure legittimate che, per il loro carattere di ambiguità dal punto di vista dell’interpretazione e delle responsabilità, non fanno altro che allungare i tempi di intervento, trasformando una situazione inizialmente gestibile in una vera e propria tragedia.
Non sono poche le testimonianze di familiari o singole persone che denunciano il proprio vissuto abbandonico da parte di servizi che, sovraffollati e carenti di personale, cercano con grande sforzo di dare una risposta portando il paziente e la sua famiglia ad andare avanti come meglio si può.
Non sono pochi i casi in cui, dopo un intervento in Pronto Soccorso, la persona si ritrova a casa, con gli stessi sintomi, esponendo sé stesso o i familiari a serio rischio e pericolo di vita, soltanto perché non c’è stato un posto letto pronto per lui in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura.
Non sono poche le persone che per attendere un’assegnazione di uno Psichiatra che possa seguirlo presso il Centro di Salute Mentale, aspettano settimane intere se non mesi o anni.
Non sono pochi i pazienti che risiedono in strutture residenziali ed aspettano da anni una riposta concreta per un progetto di reinserimento con la consapevolezza che il tempo passa, gli anni avanzano e per le questioni burocratiche o le inadempienze delle istituzioni, l’età diviene non più compatibile con quel progetto di reinserimento sperato da anni determinando una vanificazione dei sacrifici fatti!
Non sono isolati i casi di ragazzi con tratti di aggressività per via dell’utilizzo di sostanze. Ma basta questo per dire che non ci sono i presupposti per un trattamento obbligatorio in quanto la pericolosità è dovuta all’assunzione di sostanze e non ad una patologia psichiatrica? Cambierebbe qualcosa alla vittima essere ferita per un’aggressività indotta da sostanze invece che da una sintomatologia psichiatrica?
Non sono pochi i casi di violenza all’interno delle strutture residenziali che scaturiscono per la qualità del servizio reso, del vitto, della pulizia, per forme di intervento paradossalmente manicomiali o, dal canto opposto, eccessivamente ricreative e infantilizzanti o puramente assistenziali.
Non sono pochi i casi in cui la violenza nelle strutture nei confronti degli operatori derivi anche da una mancata dignità nell’intervento di cura e nella relazione terapeutica da parte degli operatori stessi.
Cosa ci dice tutto questo?
Forse nulla o forse troppo per prendere tutto in considerazione ed assumersi la responsabilità delle tante criticità con cui ci confrontiamo intorno a questo tema, ma è giusto anche trovare il modo per fare chiarezza.
Se da una parte il mondo scientifico conferma la correlazione tra quadri clinici psichiatrici e forme di aggressività o pericolosità sociale, dall’altra, come professionisti, siamo anche chiamati a renderci responsabili di un processo di superamento, nella coscienza collettiva, di questa correlazione che, seppur innegabile, non può essere l’assunto di base. Concentrare tutte le forme di intervento su questo assunto, vorrebbe dire negare quanto rivelato dalla rivoluzione basagliana, dove alla base di un disturbo psichico, il concetto di devianza è stato sostituito con una forma di sofferenza che, più o meno direttamente, diventata l’antecedente del sintomo e, ironia della sorte, dal sintomo stesso messa in ombra. Ciò implica l’umana tendenza a contrastare il sintomo piuttosto che accogliere e sanare quella sofferenza nascosta dietro alla “pericolosità”. Forse si chiede troppo ma questa sofferenza chiama in causa non solo la persona, ma anche le Istituzioni e la società.
A quanti chiedono, anche tramite i social, la riapertura dei manicomi risulta impossibile non rimandare quanto, dietro questa richiesta, si celi una visione molto ristretta del fenomeno che prende in considerazione soltanto le conseguenze del problema e non le cause di cui tutti – o per mancanza di assunzione di responsabilità o per fantomatico mancato coinvolgimento – siamo responsabili. Alla richiesta di riaprire i manicomi o di attuare misure di reclusione e isolamento più restrittive, Rete Igea intende rispondere potenziando la consapevolezza di tutta la società – degli “addetti ai lavori” e non – su quanto sia opportuno richiedere, al mondo politico e istituzionale, una maggiore assunzione di responsabilità ed un maggior investimento economico nell’ambito della promozione della Salute Mentale e nella legittimazione degli interventi terapeutici, per quei Servizi che possono dare una risposta concreta e all’altezza della dignità umana.
10 ottobre! La giornata dedicata al Tema della Salute Mentale e come lo scorso anno… Rete Igea crede che nel rispetto della persona con disagio, in questa giornata sia giusto continuare a tirare le somme!
[1] https://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_4_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=salastampa&p=comunicatistampa&id=5944
[2] https://rete-igea.com/2023/04/24/il-rumore-del-silenzio/